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Misure di Espulsione Amministrativa e Disposizioni per l'Esecuzione
Le espulsioni sono i provvedimenti, scritti e motivati, con cui l’autorità amministrativa di pubblica sicurezza o l’autorità giudiziaria dispongono l’allontanamento dal territorio dello Stato degli stranieri che non hanno, o hanno perso, il diritto di soggiornarvi.
Lo schema generale delle espulsioni è il seguente:
Provvedimenti amministrativi di espulsione
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Provvedimento amministrativo di espulsione disposto dal Ministro dell’Interno
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per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato
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per motivi di prevenzione del terrorismo
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Provvedimento amministrativo di espulsione disposto dal Prefetto
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per motivi di prevenzione del terrorismo
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per ingresso in condizione irregolare
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per soggiorno in condizione irregolare
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per violazione di un ordine del Questore precedentemente imposto allo straniero respinto o espulso di lasciare il territorio nazionale
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per motivi di presunta pericolosità sociale
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per esecuzione di una decisione di allontanamento adottata da altro Stato membro dell’Unione europea
Espulsione a titolo di misura di sicurezza
Espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena
Espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione
Le diverse tipologie espulsive trovano il loro fondamento in differenti presupposti:
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Le espulsioni che trovano maggiore applicazione nella prassi sono i provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal Prefetto nei confronti dello straniero che si trova in posizione di soggiorno irregolare, che, a loro volta, si suddividono in ulteriori tipologie in ragione dei limiti al potere espulsivo connessi a specifiche situazioni ritenute dal legislatore meritevoli di distinta disciplina, come, ad esempio, l’espulsione dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, l’espulsione conseguente alla revoca del permesso di soggiorno, l’espulsione dell’inottemperante all’ordine del questore, e così via.
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Altre espulsioni, invece, prescindono dalla posizione di regolarità dell’ingresso o del soggiorno e sono motivate da esigenze di tutela e prevenzione della sicurezza e dell’ordine pubblico. Anche questa categoria, però, si frammenta in diverse tipologie in funzione degli obiettivi perseguiti: così oltre alle espulsioni disposte direttamente dall’autorità nazionale di pubblica sicurezza (provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal Ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato o per motivi di prevenzione del terrorismo), ve ne sono altre di emanazione prefettizia che si fondano sugli stessi presupposti delle misure di prevenzione.
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Sono previste infine espulsioni disposte direttamente dall’autorità giudiziaria penale o in funzione deflattiva della popolazione carceraria, o sostitutiva della sanzione penale, o fondate su presunzioni di pericolosità sociale: eppure alcune di queste tipologie presuppongono anche una posizione di irregolarità amministrativa del destinatario.
Si tratta perciò di un sistema in cui i presupposti amministrativi e di pericolosità spesso si confondono e sovrappongono, il che non consente – sotto un profilo sistematico – di suddividere omogeneamente le varie tipologie di espulsioni sulla base dei rispettivi presupposti.
In linea molto generale alla base di tutti i tipi di espulsione, amministrativa o giudiziaria, c’è una valutazione – operata dal legislatore in termini generali e astratti – di non meritevolezza della permanenza dello straniero sul territorio. La potestà espulsiva è rigidamente vincolata dalla legge e l’iter di formazione della volontà dell’amministrazione (o del giudice) deve risultare chiaramente dall’atto espulsivo che, nelle espulsioni amministrative, ha la forma del decreto scritto e motivato in fatto e in diritto.
Le espulsioni amministrative sono immediatamente esecutive, anche se sottoposte a impugnazione, e devono essere notificate all’interessato preferibilmente a mani proprie o comunque in modo tale da garantire la riservatezza del contenuto. Quanto alle modalità di esecuzione delle espulsioni, in linea generale si osserva come, nonostante la Direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare privilegi la concessione di un termine per la partenza volontaria degli stranieri sottoposti a provvedimenti di rimpatrio per la loro situazione di soggiorno irregolare, la legislazione nazionale continua a privilegiare l’accompagnamento alla frontiera coattivo di tutti gli stranieri espulsi, incluso lo straniero espulso con provvedimento amministrativo di espulsione del Prefetto, relegando ad un ruolo marginale la possibilità per lo straniero espulso di chiedere e ottenere un termine per la partenza volontaria, che è possibile soltanto nelle ipotesi in cui sia già stato escluso un rischio di fuga, nel qual caso allo straniero espulso sono contestualmente imposte anche misure per garantire l’adempimento dell’obbligo di allontanamento nel termine prescritto, la cui violazione, oltre che comportare l’accompagnamento coatto dell’espulso alla frontiera, costituisce reato.
Nelle numerose ipotesi in cui non è possibile eseguire immediatamente l’accompagnamento immediato alla frontiera dello straniero espulso a mezzo della forza pubblica – che si configurano come incidenti di esecuzione dell’iter espulsivo – la legge consente al Questore di disporre il trattenimento dello straniero espulso nei Centri di identificazione ed espulsione, per periodi di 30 giorni, prorogabili per una durata massima complessiva di diciotto mesi, che svolge una funzione affatto eccezionale nel sistema espulsivo italiano. Se nemmeno il trattenimento può essere attuato o se non ha consentito l’effettivo accompagnamento alla frontiera il Questore può disporre l’ordine allo straniero espulso di lasciare il territorio dello Stato entro 7 giorni, che appare lo strumento esecutivo più utilizzato, corredato di sanzioni penali per la sua violazione, anche reiterata.
Tutte le espulsioni sono corredate da un divieto di reingresso dello straniero espulso, decorrente dalla data di esecuzione del provvedimento, per un periodo non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, ma nelle ipotesi di espulsione connotate da pericolosità sociale il divieto può essere superiore. Solo nel caso di concessione del termine per la partenza volontaria e di suo rispetto da parte dello straniero, costui potrà chiedere la revoca del divieto di reingresso subito dopo il suo rientro in patria.
Infine, vengono elencate le casistiche per le quali vige il divieto di espulsione.
Non è consentita l’espulsione, salvo che nei casi previsti dall’articolo 13, comma 1, nei confronti:
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degli stranieri che devono essere rimpatriati verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione;
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degli stranieri minori di anni diciotto, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi;
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degli stranieri in possesso della carta di soggiorno, salvo il disposto dell’articolo 9;
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degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana;
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delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono.
Il respingimento o l’esecuzione dell’espulsione di persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali sono effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali, debitamente accertate.